C.Pasquali durante la pulitura |
Parigi,
30 gennaio 2012
Al
laboratorio dell'École du Louvre incontriamo oggi, per una
intervista esclusiva, la prof.ssa Cinzia
Pasquali, restauratrice del
celeberrimo dipinto di Leonardo da Vinci “Madonna con Bambino e
Sant'Anna”, conservato nello stesso museo.
Intervista a
cura di Maria Sensi
La
prof.ssa Pasquali, italiana, formatasi all'ICR - Istituto Centrale
per il Restauro di Roma (fondato – lo ricordiamo – dal grande
storico dell'arte Cesare Brandi nel 1939) ha un curriculum di
prim'ordine. Oltre 250 sono i cantieri cui ha lavorato e innumerevoli
le opere da lei “curate”, dalle miniature a grandi pale d'altare.
Tra i suoi restauri più celebri, quelli delle pitture del Duomo di
Napoli, la Galleria di Apollo nello stesso Louvre, la Galleria degli
Specchi nella Reggia di Versailles (dove ha diretto un'équipe di
sessanta persone e i cui lavori, di dimensione pluridisciplinare in
una superficie di 1500 mq, l'hanno impegnata per tre anni). Con molto
rispetto e grande competenza si sta ora dedicando a questo
meraviglioso dipinto leonardesco: vedendolo da vicino, nei laboratori
del Louvre, si rimane veramente senza fiato. Lasciato incompiuto dal
genio di Vinci alla sua morte ad Amboise nel 1519 e acquistato da
Francesco I di Francia, sarà di nuovo ammirato, dal mondo accademico
e dai visitatori del museo, dal marzo prossimo.
Prof.ssa
Pasquali, ci può parlare della tecnica utilizzata da Leonardo per
dipingere quest'opera? E a che periodo risale il dipinto?
L’opera
é realizzata con una tecnica abbastanza tipica dell’epoca. Il
supporto in legno di pioppo (quattro tavole con due traverse
orizzontali), é preparato con due strati de gesso: il «gesso
grosso» e il «gesso sottile» sui quali si trova uno strato di
bianco di piombo puro che ha come legante un emulsione a base d’olio
e proteine animali. Nel suo «trattato della pittura», Leonardo
insiste molto sull’importanza di avere una preparazione di un
bianco molto puro per far risaltare la trasparenza dei colori. Infine
la pellicola pittorica é ad olio. Quello che é particolarissimo
nella sua tecnica non sono dunque i materiali ma piuttosto
l’esecuzione. La pellicola pittorica é estremamente sottile, i
passaggi dall’ombra alla luce sono ottenuti sovrapponendo velature
leggerissime, a tal punto che, come sul volto della Vergine, neppure
con una lente d’ingrandimento si possono distinguere i tratti del
pennello. Altro esempio, il magnifico mantello azzurro della Vergine
, é ottenuto con delle velature di lapislazzuli e bianco e lascia
intravedere il vestito sottostante realizzato con la lacca di garanza
e nero d’avorio.
C.Pasquali durante la rimozioni dei ritocchi alterati |
Per
il periodo d’esecuzione dell’opera, si può fare rifermimento a
un «incunabolo» del XVsecolo appartenuto a Agostino Vespucci e
scoperto nel 2005. In questo manoscritto, che riproduce dei testi di
Cicerone, si trovano, ai margini, numerose annotazioni scritte dal
Vespucci. Tra queste una in particolare che, riferendosi a un
passaggio dove Cicerone parla di Apelle che non ha terminato la sua
«Venere», descrive il fatto che Leonardo ha cominciato il ritratto
di Lisa Del Giocondo e la Sant’Anna non terminandole. Siamo in
ottobre del 1503, a questa data le due opere sono dunque cominciate.
.Con certezza invece si sa che la Sant’Anna (così come «la
Gioconda») é rimasta con lui fino alla sua morte, e fino ad allora
ha continuato a modificarla, lasciandola finalmente
incompiuta.
Quanti cartoni preparatori sono stati eseguiti per il quadro? E Lei cosa ha desunto dal loro studio?
Quanti cartoni preparatori sono stati eseguiti per il quadro? E Lei cosa ha desunto dal loro studio?
Anche
questo non si sa con esattezza. Certamente almeno due: quello della
prima versione, conservato a Londra, e quello che é servito alla
realizzazione dell’opera del Louvre, scomparso. Forse, tra i due,
un altro che é andato perso. Più numerosi i disegni dei dettagli,
circa nove, che si possono mettere in relazione con la Sant’Anna.
Lo studio dei disegni é sempre interessante, confrontati alle
immagini in infrarosso dell’opera, aiutano a far capire la genesi e
le successive modificazioni del dipinto.
Dal
XVIII secolo in poi, il dipinto è stato più volte “rinfrescato”
(se non erro, in media ogni venti anni) con delle vernici
trasparenti, che col tempo si sono opacizzate, alterando
inevitabilmente riflessi e colori. Qual'é stato il Suo approccio per
restaurarlo?
La
prima fase é stata di studio, sia delle fonti d’archivio per
determinare quantitativamente e qualitativamente gli interventi di
restauro precedenti, sia della documentazione diagnostica eseguita
dal laboratorio del Centro di Ricerca e Restauro dei Musei di Francia
(radiografia, immagini ultraviolette e infrarossi, luce radente,
analisi chimiche, etc.), per determinare con esattezza la tecnica
d’esecuzione e le alterazioni presenti sull’opera. In seguito,
dei test di rimozione dei ritocchi alterati e di diversi livelli di
assottigliamento delle vernici ossidate sono stati sottoposti
all’approvazione della commissione che segue il restauro. La
pulitura é stata progressiva, mirando a eliminare i ritocchi
alterati, ma senza sverniciare completamente la pellicola pittorica.
Lo spesso strato di vernici ossidate che ricopriva l’opera é stato
assottigliato, fino a ritrovare una trasparenza soddisfacente, ma non
eliminato completamente. Dopo la pulitura, una reintegrazione
minimalista, mirata non a nascondere le alterazioni ma a minimizzarle
visualmente, ha permesso di mettere in valore l’originale che é in
un ottimo stato di conservazione.
Per questo restauro avete messo a punto un sistema di misurazione in micron che Le permette di sapere di quanto esattamente andate ad assottigliare gli strati di vernice trasparente posti sopra la pittura leonardesca. Ci può parlare di questo sistema?
Questo
sistema, ancora in fase sperimantale, é stato messo a punto dal
laboratorio del C2RMF, a partire d’una stazione di microtopografia
basata sulla microscopia ottica co-focale a campo esteso. Questo
sitema misura solamente un punto preciso alla volta, quindi il
risultato ottenuto può variare in funzione della rugosità della
pellicola pittorica e della viscosità della vernice in quel punto.
Una serie numerosa di misure é dunque necessaria per avere un’idea
precisa dello spessore degli strati di vernice non originali
sovrastanti la pellicola pittorica. Questa tecnica é stata preziosa
per confermare scientificamente il livello di pulitura proposto.
Lei
impiega solventi acquosi e gel, che non penetrano nella pittura. Ci
può spiegare modalità, tempi e fasi del restauro?
L’approccio
utilizzato per la pulitura proviene dal metodo messo a punto da
Richard Wolbers, che é stato poi ripreso e sviluppato in Italia da
Paolo Cremonesi. L’utilizzo dei gel é stato fondamentale per
rimuovere dei ritocchi alterati senza sverniciare completamente la
pellicola pittorica. Difficile dare tempi e fasi perché sarebbe una
generalizzazione che non rispecchierebbe la complessità della
pulitura. Le vernici assottigliate e i ritocchi rimossi erano di
natura differente secondo le zone, questo ha costretto ad un
aggiustamento continuo delle miscele impiegate per poter avere una
superfice omogenea alla fine della pulitura.
Quali
sono state le scoperte e le sorprese che questo capolavoro Le ha
riservato?
Tante,
prime tra tutte la conferma che questo capolavoro é rimasto
incompiuto, come si pensava dalle descrizioni fatte dell’opera dopo
la morte di Leonardo. Poi la scoperta delle infinite tonalità di
azzurro, tutte a base dello splendido pigmento di lapislazzuli, che
compongono il cielo, il paesaggio e il mantello della Vergine. I
ciottoli ai piedi dei personaggi, tutti diversi gli uni dagli altri e
delicatamente ricoperti d’acqua. Gli incarnati, delicatissimi, dove
i passaggi tra ombra e luce sono talmente impalpabili da essere
invisibili anche con una lente d’ingrandimento (il famoso «sfumato»
di Leonardo). Ma direi che ogni centimetro di quest’opera, durante
la pulitura, é stata una scoperta unica.
Quanti
pentimenti ha avuto Leonardo in corso d'opera? E quali Lei reputa i
più significativi?
I
pentimenti sono numerosi, tutti importanti, molti visibili solamente
con la riflettografia infrarosso. Forse il più significativo é lo
sbuffo, sulla schiena della Vergine, del panneggio in lacca di
garanza. È un pentimento che si vede anche a occhio nudo ed é stata
probabilmente l’ultima modifica che ha fatto sull’opera, infatti
nessuna copia d’epoca la riporta. Anche interessanti sono i segni
tracciati con una mina scura, sulla parte destra del paesaggio,
visibili solo all’infrarosso. Questi disegni non corrispondono alla
pittura sovrastante visibile, ma visto che sono nella parte
manifestamente non finita, possiamo immaginare che siano rapportabili
alle piante e ai fiori che possiamo vedere sulle copie d’epoca dei
suoi allievi e che Leonardo non ha fatto in tempo a completare.
Alcune delle impronte digitali nel cielo |
Che
effetto Le ha fatto scoprire le impronte digitali di Leonardo sul
dipinto?
Grande,
grandissima emozione. Mettere le dita sulle impronte del Maestro.
Indescrivibile!
Cosa
ci può dire dei tre disegni rinvenuti sulla tavola a retro del
quadro: una testa di cavallo, la metà destra di un cranio e un
bambino. Quello dell'infante é riferibile al bambin Gesù del quadro
stesso?
Difficile
dire se i disegni sono di Leonardo o di uno degli allievi. La testa
del cavallo, dal senso dei tratti che caratterizzano il chiaroscuro,
é stata eseguita da un mancino e il cranio da un destrorso. Il
disegno del bambino é girato nell’altro senso rispetto alla
Sant’Anna, ma sembra molto simile a due disegni conservati nella
collezione reale inglese a Windsor e a uno del Getty Museum, che
potrebbero essere legati alle riflessioni di Leonardo sulla
Sant’Anna. I disegni, eseguiti direttamente sul supporto in legno,
sono poco visibili a occhio nudo, li si vede molto meglio con la
riflettografia infrarosso.
Nel
comitato di studi preparatori al restauro si sono dimessi due
studiosi francesi, Cuzin e Bergeon Langle (la seconda, peraltro,
presumo chiamata più come intellettuale che come esperta di
restauro). Forse essi, già in pensione, conoscono poco i gel che
state utilizzando. Sia l'ICR che l'Opificio delle Pietre Dure di
Firenze hanno difeso il Suo lavoro e il Louvre ha respinto le
preoccupazioni degli specialisti, assicurando che l'opera di Leonardo
non corre rischi. Comunque, dato che nel caso di dipinti di tale
importanza si entra sempre in fibrillazione (tutti ricordano le
polemiche per i restauri degli affreschi di Michelangelo alla
Sistina), cosa si sente di dire per tranquillizzare gli amanti
dell'arte?
Questa
polemica non ha luogo di essere. La pulitura é stata eseguita
progressivamente con grande prudenza e non ci siamo mai avvicinati
alla pellicola pittorica. I ritocchi sono stati rimossi, ma lo spesso
strato di vernici non originali sopra il dipinto é stato solo
assottigliato.
Ogni
fase dell’operazione é stata seguita e confermata
scientificamente. Il restauro ha permesso di ritrovare un’immagine
più vicina all’originale, ma questa é stata solo una conseguenza
di un intervento conservativo, mirato a trasmettere l’opera nelle
migliori condizioni possibili. L’intervento é stato intrapreso,
vorrei ricordarlo, per evitare alterazioni irreversibili
dell’originale e non solamente a scopo estetico.
Per
quello che riguarda le dimissioni dei due membri del comitato non
voglio polemizzare, ma posso dire che non credo che i motivi siano
tecnici.
V.Delieuvin e C.Pasquali durante lo studio di uno dei disegni preparatori |
In Italia, le due scuole di restauro sopra menzionate sono – a detta degli specialisti – le migliori al mondo. Quali sono i suggerimenti che Lei si sente di dare affinché il nostro patrimonio artistico sia valorizzato come merita, divenendo anche - in un periodo come questo, in cui la disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli preoccupanti - un volano per lo sviluppo del Paese?
Certamente
le due scuole italiane (ISCR e OPD) sono tra le migliori al mondo. La
nostra formazione, che dura 5 anni, ci permette di affrontare il
restauro di tutti i beni artistici, sia monumentali che museali. È
certo un peccato vedere che il sistema legislativo italiano tende
sempre di piú a escludere i restauratori diplomati a profitto delle
ditte edili per le grandi superfici. Ultimo esempio il restauro del
Colosseo, il cui bando di gara subordina la presenza dei restauratori
a quella degli edili, subordinando, in maniera irrevocabile, le
esigenze di conservazione delle superfici alla logica di imprese non
specializzate.
Io
penso che il livello di un paese si veda dalla cura (anche economica)
che questo dedica al proprio patrimonio culturale. Il fatto che il
patrimonio artistico italiano sia uno dei piú importanti d’Europa
non giustifica certo l’incuria con cui sono trattate le nostre
opere d’arte. Dico certamente una cosa banale, ma i tagli
economici, da anni continui e regolari, hanno fatto della
conservazione dei beni culturali, un settore sinistrato. Piú mezzi,
dunque, e soprattutto lasciare la cura del patrimonio artistico ad
operatori specializzati. Difficile certo dare voglia ai giovani di
impegnarsi nel nostro settore, quando questo significa molti anni di
studio e di tirocinio per un reddito minimo e poco riconoscimento
professionale. Eppure la conservazione dei beni artistici é uno dei
settori di cui l’Italia può essere fiera: la «Teoria del
restauro» di Cesare Brandi, padre del restauro moderno, é ancora
oggi insegnata nel mondo intero.